Pellegrino che cerchi il divin della scientia nel frutto ancora acerbo della verità sapientia. In vulgo diffusi la porpora di fin gaudenzia come cantore magico in terra nera straniera. Nell’ora e nel tempo tra zolfo tiranno e mercurio bianco mescolasti il virgin olio sacro alla Venere. Trovando in si fatta mescenza il viver incarnato di oro e argento con cerchi austeri di separata essenza. Un proferir di salnitro amaro e magnesia casta, ma tanto da procurar nel cuore un calore di sensibil audacia. Percuotere, battere, sostenere, scindere e lavare … Coagulando un verso sterile al profano di meravigliosa e celebre attesa. Ecco che vidi in te un porfido ancestrale di Ignis Sacer che brillar fece il creato con umori trascendenti e magistrali. Ho in pasto elaborato un cibo di metallo che di nuovo uscì dalla mia bocca tirandomi fuori viscere tremanti di acido cartesiano come respiro debole di morte che calcina il cuore. E nei cieli stellati ancor si muove osceno…. Sempre caro a me questo dono infermo nel suo dire tanto che di lacrime recide il volto, non saper come distribuire parte di piombo, parte d’argento, parte d’oro. Ma più prezioso fù il diamante che fiorì nel mio grigio plesso perché divisi allora due verità tanto diverse quanto uguali. Così mi dissero gli Dei prendi le corde del tesser vita e torci Il latte della vergine bevi dai seni e da essa tagliando i due volti guarda nel cielo del mistero celeste. Ma l’inesorabile divenire cerca la sfinge celata tanto che le corde della seta uscirono dalla mia bocca dove trovai le fauci di due Leoni che mi aspettavano alla soglia ardevano di gloria immutabile.